Le origini
La storia di Fiume
La città di Fiume, importante scalo portuale sul golfo del Quarnaro, appartenne politicamente all’Italia dal 1924 al 1947. Con il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947, conseguente al Secondo conflitto mondiale, fu ceduta, così come l’Istria e la città dalmata di Zara, alla Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, le cui truppe l’avevano occupata militarmente fin dal 3 maggio 1945. Nel 1940 la città aveva 59.332 abitanti di cui 41.314 italiani, il restante della popolazione era composto in gran parte da croati, seguiti da sloveni e altre nazionalità. Ai fiumani, agli istriani e ai zaratini venne negato il diritto all’autodeterminazione e fu loro concesso solo di optare fra i due Stati, vincolando tale concessione al riconoscimento della lingua d’uso da parte dell’autorità occupante. La stragrande maggioranza dei fiumani scelse la via dell’esodo in Italia. Oggi Fiume, in croato Rijeka, appartiene alla Repubblica di Croazia e conta, secondo il censimento del 2001, 173.000 abitanti, di cui circa 3.000 appartengono ufficialmente alla minoranza italiana, rappresentata dalla locale Comunità Italiana, che ha un proprio Statuto e una sede nella città.
L’antica Fiume, che sorgeva sulla riva destra del fiume Eneo, ha le sue origini nella Tarsatica romana, che si presume sia stata fondata intorno al 33 a.C. In epoca romana nei pressi della città fu eretto un vallo fortificato, che dal mare proseguiva verso settentrione, con funzioni di difesa dei confini tra l’Istria e l’Illiria. Dal VII al XIII secolo la storia della città è avvolta nell’oscurità, per riemergere nel corso del XIII secolo con i nomi di Flumen, Terra di Fiume San Vito, San Vito al Fiume, Fiume, nome quest’ultimo tradotto nelle fonti croate in Reka o Rika. Entrata nella sfera del dominio dei Franchi, la città venne poi infeudata al vescovo di Pola, il quale nel 1139 la subinfeudò ai conti di Duino.
Nel 1337 venne ceduta ai dinasti croati Frangepani-Frankopan, conti di Veglia, che nel 1365 la restituirono ai Duinati.
Nel 1399 Fiume passò alla casata dei Walsee, strettamente legata agli Asburgo, e agli Asburgo pervenne nel 1465. L’autonomia e i privilegi di cui godeva nel XV secolo vennero più volte confermati. La lingua ufficiale nelle scritture pubbliche era naturalmente il latino, mentre la lingua parlata dalla maggioranza della popolazione apparteneva alla koiné veneta, come documentato, tra l’altro, dal calmiere del pesce del 10 gennaio 1449 redatto in dialetto veneto. Nel circondario si parlava il dialetto ciakavo croato, che nello Statuto cittadino del 1876 sarà chiamato, ai fini dell’istruzione pubblica, “illirico”. Fiume non fu mai dominata da Venezia, che la distrusse almeno due volte, nel 1369 e nel 1509, dopo una occupazione durata poco più di un anno.
Il 29 luglio 1530 l’imperatore Ferdinando I sancì lo Statuto della città: il cosiddetto Statuto ferdinandeo, redatto dal ferrarese Goffredo Confalonieri, confermava in modo articolato le franchigie secolari di Fiume e la sua autonomia.
Il 18 marzo 1719 Fiume, insieme a Trieste, divenne porto franco in seguito ad una decisione dell’imperatore Carlo VI. Maria Teresa, imperatrice dal 1740, rafforzò i privilegi del porto fiumano e nel 1776 decretò la dipendenza della città dal regno d’Ungheria attraverso la Croazia. I fiumani si opposero a questa decisione che avrebbe messo in pericolo l’autonomia cittadina e richiesero la dipendenza diretta dall’Ungheria. Così Maria Teresa modificò il provvedimento del 1776 con un Diploma emesso il 23 aprile 1779, che stabilì la particolare posizione giuridica di Fiume all’interno dell’Impero come città immediata ovvero “separatum sacrae Regni Coronae Hungariae adnexum corpus”: la città veniva così considerata come un “corpo separato” autonomo annesso direttamente alla corona ungherese e distinto dal distretto di Buccari, appartenente da sempre alla Croazia.
Nel 1809 Fiume fu ceduta dall’Impero austriaco alla Francia e fino al 1813 fece parte del nuovo Stato delle “Province Illiriche” all’interno dell’Impero napoleonico.
Nel 1813 la città ritornò all’Impero d’Austria e nel 1822 venne finalmente reincorporata al Regno d’Ungheria con grande soddisfazione dei fiumani. In conseguenza dei moti del 1848 Fiume fu occupata dalle truppe croate. L’occupazione croata durò fino al 1868. La Dieta di Zagabria aveva proclamato la sua volontà di annettere la città alla Croazia, ma trovò una tenace resistenza nella Municipalità e nei cittadini fiumani, che nel 1861 si rifiutarono di inviare i propri rappresentanti alla Dieta zagabrese e nel 1865 li designarono col preciso mandato di respingere l’unione diretta alla Croazia e di ripristinare il legame diretto della città con l’Ungheria.
Dopo il “compromesso austro-ungarico” del 1867 e il “compromesso croato-ungarico” del 1868 la controversia venne risolta e Fiume tornò a dipendere direttamente dalla corona ungherese. Le deputazioni fiumana, croata e ungherese non riuscirono però a trovare un accordo sulla posizione giuridica definitiva della città, limitandosi a proporre una soluzione temporanea, un Provisorium, che venne sancito dal regio rescritto del 28 luglio 1870 e che rimase in vigore fino al crollo dell’Impero nel 1918. La riannessione all’Ungheria significò per Fiume l’inizio di un periodo di grande prosperità e sviluppo, il periodo del cosiddetto idillio ungherese.
Negli anni che vanno dal 1868 al 1895 avvenne il decollo economico, demografico, urbanistico e culturale della città. Grazie a grandiosi lavori di ampliamento, il porto fiumano si trasformò in un porto di primaria importanza e Fiume in un grande centro di traffici internazionali, “la più bella perla della Corona di Santo Stefano”, come amavano dire gli ungheresi. Verso la fine del secolo sorsero però dei contrasti tra i fiumani e il governo ungherese, intenzionato a promuovere una politica nazionalistica di “magiarizzazione”. Per difendere l’autonomia cittadina da questa minaccia nel 1896 fu fondata l’Associazione Autonoma Fiumana, guidata prima da Michele Maylender e successivamente da Riccardo Zanella. Nello stesso periodo sorsero movimenti irredentistici croati e italiani.
Nel 1905 il politico croato Franjo Supilo promosse a Fiume una riunione in cui fu votata la “Risoluzione di Fiume” che rivendicava l’unione della città alla Croazia. Nello stesso anno si costituì il circolo “La Giovine Fiume”, un’associazione di giovani irredentisti italiani favorevoli all’annessione della città al Regno d’Italia. Gli antagonismi nel mondo fiumano non erano che la manifestazione locale della grave crisi in cui versava ormai l’Impero austro-ungarico, lacerato al suo interno dai movimenti nazionalisti. La Grande guerra accelerò questa crisi e segnò la fine dell’Impero. Pochi giorni prima della fine della guerra il deputato di Fiume al Parlamento ungherese, Andrea Ossoinack, aveva reclamato per la città il diritto all’autodecisione.
Il 30 ottobre 1918, nella latitanza che riporta erroneamente la data del 30 settembre d’ogni potere, venne costituito a Fiume un Consiglio Nazionale Italiano presieduto da Antonio Grossich, che, richiamandosi al principio dell’autodecisione dei popoli sostenuto dal presidente americano Wilson, proclamò l’annessione di Fiume all’Italia. Ad esso si contrappose un Consiglio Nazionale Croato, che chiese l’annessione della città alla Croazia e quindi al neocostituito Regno dei Serbi Croati e Sloveni (SHS).
Nel Patto di Londra, stipulato nel 1915 tra l’Italia e gli alleati, Fiume non era stata compresa nelle rivendicazioni territoriali italiane e assegnata praticamente alla Croazia, sia pure nel presupposto della sopravvivenza dell’Austria-Ungheria. Così nelle trattative diplomatiche alla Conferenza della pace di Parigi la questione di Fiume divenne per la delegazione italiana un nodo assai complicato da sciogliere: richiedere l’applicazione integrale del Patto di Londra implicava la rinuncia a Fiume, mentre reclamare Fiume sulla base del principio dell’autodecisione comportava la messa in discussione del Patto di Londra. Francia, Inghilterra e lo stesso Wilson erano peraltro propensi a soddisfare le pretese su Fiume del Regno dei Serbi Croati e Sloveni. Mentre le trattative diplomatiche proseguivano senza esito, Gabriele d’Annunzio, sollecitato dal Consiglio Nazionale Italiano di Fiume, mosse da Ronchi con un migliaio di “legionari” e il 12 settembre 1919 occupò la città dichiarandola annessa al Regno d’Italia. Sconfessato dal governo di Roma, il poeta resistette ad oltranza e nel settembre 1920 giunse a proclamare la “Reggenza Italiana del Carnaro”, uno Stato transitorio in attesa del ricongiungimento all’Italia, con una Costituzione, la “Carta del Carnaro”, e organi di governo.
Alla fine del 1920, nelle giornate del cosiddetto “Natale di sangue”, le truppe regolari inviate dal governo italiano si scontrarono con i legionari dannunziani ponendo fine all’Impresa. Già il 12 novembre 1920 il Trattato di Rapallo, stipulato tra l’Italia e il Regno dei Serbi Croati e Sloveni, aveva dato vita allo Stato Libero di Fiume, mutilando peraltro parte dell’area portuale cittadina (Porto Baross) assegnata al regno SHS.
Nell’aprile del 1921 si svolsero nella città le elezioni per l’Assemblea Costituente: gli autonomisti prevalsero nettamente sul Blocco Nazionale annessionista e il 5 ottobre Riccardo Zanella fu nominato presidente provvisorio dello Stato Libero di Fiume. Nei mesi successivi, però, il piccolo Stato fu incessantemente lacerato da gravi contrasti e illegalità, finché il 3 marzo 1922 un gruppo di legionari dannunziani rimasti in città e di fascisti triestini e locali mise fine con un’azione armata all’esperienza dello Stato Libero, costringendo Zanella all’esilio.
Il 27 gennaio 1924, infine, il primo governo Mussolini stipulò con il Regno SHS il Trattato di Roma con il quale Fiume venne annessa all’Italia.
Il 16 marzo dello stesso anno il governatore Giardino proclamò solennemente l’annessione dal Palazzo del Governo davanti ad una folla festante e alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Fiume dette il suo contributo all’impegno bellico italiano e venne a trovarsi in una difficile situazione, che si aggravò quando l’Italia nel 1941 invase la Jugoslavia, unendo Fiume alla limitrofa città croata di Sussak e facendone il capoluogo provinciale di un vasto territorio che comprendeva centri con un’assoluta maggioranza croata e slovena.
L’8 settembre 1943, in conseguenza dell’armistizio proclamato da Badoglio, Fiume venne inserita nella Zona d’operazioni del Litorale Adriatico soggetta amministrativamente e militarmente all’autorità del Terzo Reich, pur rimanendo formalmente inalterata la sua appartenenza alla sovranità italiana.
Il 3 maggio 1945, dopo un mese di aspri combattimenti, la città fu occupata dalle truppe jugoslave dell’esercito partigiano di Tito e conobbe immediatamente il durissimo regime poliziesco tipico dei nuovi paesi comunisti: dal 3 maggio 1945 al 31 dicembre 1947 persero la vita circa 650 italiani. La repressione fu una causa determinante dell’esodo da Fiume che coinvolse non meno di 36.500 fiumani italiani. Considerando che, alla fine del conflitto i 41.314 italiani del censimento del 1940 si erano ridotti a circa 38.500 a causa delle morti in guerra, l’esodo coinvolse il 94% dei fiumani italiani.
Nonostante e al di là delle drammatiche vicende di cui la città fu vittima e dei molteplici mutamenti politici da essa subiti, la sua identità culturale di carattere italiano è ancora viva grazie ai fiumani esuli e ai fiumani rimasti. La nostra Società continua a conservarla, promuoverla e proteggerla dalle deformanti, ma contingenti, passioni dell’ideologia e della politica.
Timeline eventi
La storia e le origini dell’Archivio Museo si legano indissolubilmente alla storia della città di Fiume, ed alle sue trasformazioni nel secolo scorso.
Primo numero della rivista Fiume, organo della Società di Studi Fiumani
https://www.openstarts.units.it/handle/10077/29144
L'on. Luciano Violante, presidente della Camera dei Deputati, visita l’Archivio Museo storico di Fiume
Il sindaco di Roma Alemanno visita l’Archivio Museo storico di Fiume
IL FRUTTO DI UN VALIDO E INTENSO DIALOGO CULTURALE ITALO-CROATO
Il Giorno del Ricordo
La legge 92/2004 istituisce il Giorno del Ricordo, una solennità civile nazionale italiana, che viene celebrata il 10 febbraio di ogni anno, per ricordare i massacri delle foibe e l’esodo fiumano, giuliano, dalmata.
Tale giornata vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, fu firmato il trattato di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.
Ogni anno vengono organizzate iniziative e cerimonie in ogni parte d’Italia.
Anche le istituzioni come la scuola hanno identificato nella celebrazione del Giorno del Ricordo un momento importante di conoscenza dei fatti, ed ogni anno individuano iniziative rivolte alle istituzioni scolastiche per una migliore conoscenza delle ragioni storico-sociali che hanno investito il confine orientale alla fine del secondo conflitto mondiale.
Ogni anno in occasione della solenne celebrazione il Presidente della Repubblica ricorda gli esuli e le vittime con un discorso solenne. Qui i testi integrali delle parole per «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».